Oltre il Vesuvio

Un pomeriggio tardi di quel novembre 1980 si trovò a passare Francesco.
Erano in tre. Il più alto aveva il viso mangiato dall'acne e il corpo esile avvolto in un giubbotto nero da quattro soldi. Il medio era grassoccio, con i capelli incollati in testa e i jeans consumati alle ginocchia. Il più basso il giubbino doveva averlo lasciato a casa, se mai ne possedeva uno. Se ne stava con un sorriso stampato in faccia che in realtà era l'espressione involontaria dei suoi denti da coniglio.
Il più alto sgomitò il compagno grassoccio e sollevò il mento ad indicare Francesco che camminava un po' curvo, lo sguardo basso come a ispezionare il marciapiede. In un lampo gli furono davanti.
«Bell 'stu zainett!»
Francesco sbiancò alla loro vista e indietreggiò. Guardò ai loro lati per trovare una via di fuga, ma il panico lo stava già assalendo. I piedi erano come incollati a terra. Il ciccione si avvicinò con il volto a un palmo da lui. Francesco sentì il puzzo di sudore e di sporco. La nausea lo assalì.
«Chistu zainetto me piace.» gli aveva detto passando un dito sul suo zainetto.
«Mi serve per la scuola.» gli aveva risposto Francesco in un soffio di voce.
Il ciccione scoppiò in una risata teatrale. «Uè, ma lo sentite? Gli serve per la scuola...e perché secondo te noi a scuola non ci andiamo?» Francesco li osservò per un attimo. Dovevano avere sui 15 anni e da come si atteggiavano, la scuola dovevano averla vista solo dal di fuori.
«Lo zainetto non posso darvelo.»
«E perché?» disse quello magro e alto avvicinandosi. Solo allora Francesco notò che aveva un occhio leggermente strabico. «Tu non ce lo devi dare, noi se lo vogliamo ce lo prendiamo.»
«E' un regalo di mia madre, per il mio compleanno, non posso.»
«Aahh,» esclamò il ciccione. «E quello è un regalo della mamma...c'hai ragione e ce lo potevi dire prima!»
Il tipo con il sorriso da coniglio cominciò in quella che per lui doveva essere una risata ma che agli altri appariva come un soffio nervoso di aria dal naso.
Quando il ciccione allungò una mano per afferrarlo, Francesco fece due passi indietro e poi con agilità superò alla sua destra quello dalla faccia da coniglio che sembrava il più scemo della situazione. Ma non fece tre passi che gli altri due lo bloccarono.
Francesco ora respirava affannosamente. Si era portato lo zainetto davanti e lo teneva serrato tra le braccia incrociate.
«Uè guagliò e mo' ce rutte o c***!»
Francesco non perse tempo. Afferrò lo zaino con due mani e lo stampò contro la faccia del ciccione che preso alla sprovvista cadde per terra. Con la stessa rapidità e freddzza, Francesco si mise a correre a più non posso, mentre i tre ragazzacci lo inseguivano ridendo. «Addo' vaje? viene accà!» gli urlavano dietro divertiti.
Una volta arrivato al Corso Garibaldi capì di essere in salvo. La gente affollava i marciapiedi e le macchine rumoreggiavano in strada. Il cuore gli era salito in gola per la paura e per la corsa, ma sapeva che non lo avrebbero inseguito fino lì e adesso con le spalle appoggiate alle mura di un palazzo poteva concedersi il tempo di calmarsi. Dette in un respiro profondo e raggiunse il 234. Una volta dentro l'androne Francesco concesse il suo miglior sorriso di circostanza al portiere Don Gennaro, che se ne stava seduto nella guardiola a leggere quel giornale rosa che dava solo notizie sportive.
Su per le scale si sentì un eroe. Aveva difeso lo zainetto che sua madre gli aveva comperato per il suo compleanno, uno zainetto molto costoso ma: «Te lo meriti», gli aveva detto quel giorno baciandolo in fronte. «Sei sempre così bravo a scuola, il migliore della classe!» e lui non se lo sarebbe fatto portare via da quei tre delinquenti. Poi un pensiero completamente diverso gli attraversò la mente, dissolvendo in un attimo quell'immagine eroica che si era confezionato da solo.
Se loro davvero lo avessero voluto, quello zaino se lo sarebbero preso in un attimo, senza fare tutta quella sceneggiata. E adesso che aveva colpito in faccia il ciccione, li aveva sfidati. Quella era zona loro. Tutto il giorno lì stavano e lui di lì passava spesso. Allora era necessario evitare di farsi vedere di nuovo, almeno per qualche mese, il tempo che se ne fossero dimenticati. Una seconda volta non se la sarebbe cavata. Così decise di allungare facendo il giro per piazza Carlo terzo. Decisamente era l'idea migliore.
Suonò il campanello di casa, soddisfatto della soluzione trovata così facilmente. Sentì le ciabatte di sua madre strisciare sul pavimento dell'ingresso e la vide apparire dietro la porta, bella come sempre. In un lampo si strinse ai suoi fianchi magri.
«Uè, che c'è?» gli sorrise.
«Mi sei mancata!»


(continua)

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